31
Un osservatorio e uno spazio di riflessione sulla diversità linguistica, non solo italiana, e uno strumento per diffonderne il valore e l'apprezzamento. "31" è il riferimento al numero di lingue censite dall'Unesco sul territorio italiano che sono a rischio estinzione
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lunedì 6 maggio 2013
Corsi precoci di inglese - chi ne trae davvero vantaggio?
In questo bel post di Language on the Move, si parla della pressione della società taiwanese verso l'apprendimento precocissimo dell'inglese da parte dei bambini. In Italia non è molto diverso: l'inglese è studiato fin dalla prima elementare e in molte scuole materne. Inotre, è diffusissima la necessità di esporre i bambini alla lingua inglese il prima possibile, e chi può si sobbarca costosi corsi privati. Ma chi ci assicura che l'investimento sia vantaggioso?
E' sotto gli occhi di tutti come i bambini, anche quelli precocemente esposti alla lingua inglese, non manifestano competenze linguistiche superiori. Del resto, è risaputo che senza un'immersione totale, o per lo meno senza la capacità di usare costantemente un altro codice linguistico in contesti comunicativi di interesse per i bambini, l'apprendimento resta limitato. Eppure, in un'inevitabile coazione a ripetere, i genitori che possono farlo mandano i propri figli a lezione di inglese, e quelli che non possono hanno un certo senso di colpa. Anche coloro con qualche dubbio finiscono per adeguarsi, per non privare i figli di un'opportunità.
Siamo davvero sicuri che chi trae vantaggio dai corsi di inglese sia davvero quella categoria di persone (i nostri figli) che dovrebbe beneficiarne, e non piuttosto esclusivamente gli insegnanti e le scuole di lingua inglese?
Nessuno qui contesta l'importanza di un apprendimento precoce di una lingua, e i benefici che ne possono derivare. Piuttosto, ad essere contestati sono i metodi di apprendimento, e l'idea che una o due ore settimanali, sia pure svolte con insegnanti madrelingua e con i più efficaci metodi didattici, siano un investimento valido.
Del resto, il beneficio maggiore che deriva dall'apprendimento precoce di una seconda lingua, non è tanto e non è solo l'acquisizione di una competenza in quella specifica lingua: piuttosto, il beneficio risiede nel plasmare le abilità cognitive in modo che diventino ricettive all'apprendimento di più di un sistema linguistico.
In altre parole, se un bambino apprende precocemente il francese oltre all'italiano, sarà meglio predisposto all'apprendimento dell'inglese in un secondo tempo rispetto a un coetaneo che è monolingue italiano (con qualche spennellata bisettimanale di inglese). Questo fatto è avvalorato da quelle persone che per collocazione culturale e geografica vivono immerse in ambienti multilingui (come gli abitanti dell'Africa o dei Balcani), e da adulti poi hanno estrema facilità nell'apprendimento di nuove lingue.
Se questo è vero, perché insistere e sprecare risorse umane e pecuniarie in corsi precoci di inglese, e non fare ricorso invece alle risorse linguistiche che ognuna delle nostre regioni possiede, e sono rappresentate dalle nostre lingue regionali? Se il punto è esporre un bambino il prima possibile a più di un sistema linguistico in modo che il suo cervello si plasmi di conseguenza, perché non esporlo all'italiano e al sardo, friulano, piemontese, siciliano? E il tutto a costo zero?
(Foto: National Geographic Italia)
venerdì 26 aprile 2013
Benvenuti nel mondo della cyberlinguistica (come le nuove tecnologie cambiano il modo di documentare le lingue)
C'era una volta il lavoro del "field linguist": si trattava di un lavoro incredibilmente affascinante ma lungo, e molto, molto duro. Ore e ore di registrazione della voce degli informativi, e tre, quattro volte lo stesso tempo speso a trascrivere quelle registrazioni. Attrezzatura pesante, a costante rischio di incidenti. E invasiva, spesso non bene accetta dagli informatori. Ora tutto sta cambiando grazie alla disponibilità di alcune "smart apps": ora il lavoro di documentazione di una lingua viene letteralmente messo nelle mani dei parlanti per mezzo di smartphones dove le persone possono incidere la propria voce. Per esempio, l'applicazione Android Aikuma consente, oltre alla registrazione, la traduzione simultanea in un'altra lingua. Il tutto archiviato in formato digitale. Ora, se molti parlanti di una lingua in via di estinzione fanno la stessa cosa, sarà possibile accumulare dati delle lingue più remote. Grazie alla traduzione, queste lingue non saranno perse per sempre. E in futuro, i linguisti potranno analizzare questi dati, confrontarli e costruire nuove e più accurate ipotesi sul funzionamento delle lingue. Benvenuti nel mondo della cyberlinguistica.
Recording vanishing languages | Vanishing languages | SBS World News
Recording vanishing languages | Vanishing languages | SBS World News
martedì 15 gennaio 2013
Talk Mohawk .com: la voce dei nonni sullo smartphone!
Il blog è rimasto silente per troppo tempo, sorpassato dall'omonima pagina Facebook.
Una nuova app ha catturato la mia attenzione e mi ha restituito il desiderio di scrivere un post. L'app si chiama "TalkMohawk", ed appartiene alla categoria delle applicazioni sviluppate per tablet e smartphone a supporto delle lingue in via d'estinzione. Si tratta di un dizionario di base che consente di leggere ed ascoltare delle parole e brevi frasi in Mohawk. Le parole sono raggruppate tematicamente (per esempio casa, viaggio, shopping, ristorante, ecc.). Fin qui, si tratta di una delle sempre più diffuse applicazioni per la rivitalizzazione delle lingue minacciate che traggono profitto dalla disponibilità e attrattività delle nuove tecnologie mobili.
Quello che mi ha colpito, e fatto riflettere, di questa applicazione, è che è completamente customizzabile. Nella pagina web che la descrive si propone lo sviluppo di versioni dell'applicazione per una propria variante linguistica, un proprio vocabolario, addirittura una voce specifica. Insomma, se si vuole, gli sviluppatori possono fare una versione di Talk Mohawk con la voce di un proprio parente. E trovo che questo approccio sia geniale: un modo per avvicinare le persone alla riscoperta di una lingua del proprio patrimonio culturale e familiare giocando al contempo sull'aspetto affettivo, che costituisce un incentivo in più all'apprendimento.
I want to hear my own Grandmother speaking Mohawk | Talk Mohawk .com
Una nuova app ha catturato la mia attenzione e mi ha restituito il desiderio di scrivere un post. L'app si chiama "TalkMohawk", ed appartiene alla categoria delle applicazioni sviluppate per tablet e smartphone a supporto delle lingue in via d'estinzione. Si tratta di un dizionario di base che consente di leggere ed ascoltare delle parole e brevi frasi in Mohawk. Le parole sono raggruppate tematicamente (per esempio casa, viaggio, shopping, ristorante, ecc.). Fin qui, si tratta di una delle sempre più diffuse applicazioni per la rivitalizzazione delle lingue minacciate che traggono profitto dalla disponibilità e attrattività delle nuove tecnologie mobili.
Quello che mi ha colpito, e fatto riflettere, di questa applicazione, è che è completamente customizzabile. Nella pagina web che la descrive si propone lo sviluppo di versioni dell'applicazione per una propria variante linguistica, un proprio vocabolario, addirittura una voce specifica. Insomma, se si vuole, gli sviluppatori possono fare una versione di Talk Mohawk con la voce di un proprio parente. E trovo che questo approccio sia geniale: un modo per avvicinare le persone alla riscoperta di una lingua del proprio patrimonio culturale e familiare giocando al contempo sull'aspetto affettivo, che costituisce un incentivo in più all'apprendimento.
I want to hear my own Grandmother speaking Mohawk | Talk Mohawk .com
venerdì 27 luglio 2012
Language Landscape β
Language Landscape β è un sito web sviluppato da un gruppo di studenti del SOAS per mappare i luoghi in cui le lingue vengono parlate. Tra i suoi molti scopi, c'è quello di essere uno strumento "for the promotion and celebration of linguistic diversity".
giovedì 26 luglio 2012
Polyglossic Friday's featured language: Italian
Ecco il post di Polyglossic sull'Italiano, a seguito dell'intervista fatta a me dall'autrice.
Quello che il bilinguismo NON è, di François Grosjean
Di seguito, la traduzione in italiano dell'articolo di François Grosjean apparso qui.
Quello che il bilinguismo NON è
Prof. François Grosjean
Ho avuto la fortuna di vivere e lavorare per lunghi periodi di tempo in almeno tre paesi,
Stati Uniti, Svizzera e Francia, e questo, da studioso del bilinguismo, mi ha permesso di
imparare molto sull'argomento. Ho scoperto che la gente in questi paesi condivide molti
fraintendimenti sul bilinguismo e i bilingui, ma anche che, a seconda del paese di
provenienza, gli atteggiamenti possono essere molto diversi.
Uno dei fraintendimenti condivisi è che il bilinguismo sia un fenomeno raro. In realtà, è
stato stimato che più della metà della popolazione mondiale sia bilingue, ovvero usi due o
più lingue nella vita quotidiana. Il bilinguismo si trova in tutte le parti del mondo, in tutti gli
strati della società, e in tutte le fasce di età. Un altro fraintendimento comune è che i
bilingui abbiano una conoscenza identica delle due lingue. In realtà, i bilingui conoscono le
lingue al livello di cui hanno bisogno e per molti di loro una è dominante.
Un altro mito è che i veri bilingui non abbiano un accento nelle due lingue che parlano e
che siano dei traduttori eccellenti. Questo è molto lontano dalla realtà. Avere o non avere
un accento non rende una persona più o meno bilingue, ed i bilingui spesso hanno
difficoltà a tradurre dei linguaggi specializzati.
C'è poi il fraintendimento che tutti i bilingui siano biculturali (non lo sono) e che abbiano
una doppia personalità (da bilingue, vi posso dire con sollievo che non è così).
Per quanto riguarda i bambini, sono molte le preoccupazioni e i fraintendimenti diffusi. Il
primo è che il bilinguismo possa ritardare l'apprendimento del linguaggio nei bambini
piccoli. Questo era un mito molto comune nella prima metà del secolo scorso, ma non
esiste una prova scientifica di questo effetto. Il loro ritmo di apprendimento del linguaggio
è lo stesso di quello della loro controparte monolingue.
C'è anche la paura che i bambini cresciuti bilingui mescoleranno sempre le due lingue. In
realtà, si adattano alla situazione in cui si trovano. Quando interagiscono in situazioni
monolingui (per esempio con la nonna che non parla l'altra lingua), allora risponderanno in
modo monolingue; se invece si trovano con altri bilingui, allora potranno mischiare i due
codici. Infine, c'è la preoccupazione che il bilinguismo possa interferire negativamente con
lo sviluppo cognitivo dei bambini bilingui. Le ricerche recenti sembrano dimostrare il
contrario: i bambini bilingui hanno un rendimento migliore dei bambini monolingui in certi
compiti cognitivi.
A parte questi fraintendimenti comuni, esistono degli atteggiamenti specifici di certi paesi e
certe zone del mondo. In Europa, per esempio, il bilinguismo viene considerato
favorevolmente, ma le persone hanno degli standard molto alti rispetto ai quali
considerano una persona bilingue. Per loro, un bilingue per essere tale deve avere una
conoscenza perfetta di entrambe le lingue, nessun accento, ed anche, in alcuni paesi,
essere cresciuti parlando due o più lingue. A questi livelli pochissime persone si
considerano bilingui, anche se, per esempio in Svizzera, la maggioranza degli abitanti
conoscono ed usano due o più lingue nella loro vita quotidiana.
Che dire degli Stati Uniti? Einar Haugen, un pioniere degli studi sul bilinguismo, ha
affermato che gli Stati Uniti forse sono stati la patria di più parlanti bilingui di ogni altro
paese al mondo. Qui il bilinguismo ha molte facce diverse, e unisce l'inglese con le lingue
dei nativi americani, le antiche lingue coloniali, quelle dell'immirazione recente, e così via.
Detto questo, non si tratta di un bilinguismo di grandi proporzioni. Attualmente, solo il 17%
della popolazione è bilingue, una proporzione piuttosto bassa rispetto a quella di molti altri
paesi del mondo. Questo non è dovuto al fatto che i nuovi immigrati non imparano
l'inglese. Il motivo, piuttosto, sta nel fatto che il bilinguismo in questo paese è breve e di
transizione. Per generazioni e generazioni di Americani, il bilinguismo ha coperto un breve
periodo di tempo, una o due generazioni, tra una situazione di monolinguismo in una
lingua minoritaria e il monolinguismo in inglese.
La tolleranza che l'America ha dimostrato in genere per le lingue minoritarie nei secoli ha
favorito l'integrazione linguistica dei suoi parlanti. Come scrive il sociologo Nathan Glazer,
le lingue delle minoranze “sono avvizzite all'aria della libertà, mentre erano fiorite sotto le
avversità in Europa”.
Quando il candidato alla presidenza Barak Obama affermò che i bambini dovrebbero
parlare più di una lingua, probabilmente si stava riferendo al paradosso di questo paese:
da una parte, le lingue del mondo portate negli Stati Uniti non vengono mantenute e
deperiscono, e dall'altra sono pochissime quelle che vengono insegnate nelle scuole, a
troppo pochi studenti, e per troppo poco tempo. Una risorsa nazionale - la conoscenza
delle lingue del mondo da parte del paese - viene messa da parte e non viene mantenuta.
È importante smettere di considerare il bilinguismo sinonimo di non sapere l'inglese ed
essere non-Americani. Il bilinguismo significa conoscere ed usare almeno due o più
lingue, una delle quali è l'inglese negli Stati Uniti. Il bilinguismo consente di comunicare
con persone diverse e di conseguenza scoprire culture diverse, offrendo al contempo una
nuova prospettiva sul mondo. Il bilinguismo aumenta le possibilità di ottenere un lavoro, e
rappresenta un vantaggio nel commercio. Consente inoltre di agire come intermediari fra
persone che non condividono le stesse lingue.
Il bilinguismo rappresenta un arricchimento personale e un passaporto verso altre culture.
Come minimo, per tornare al commento di Barak Obama, di sicuro consente di dire
qualcosa di più di "merci beaucoup". Non ci si può pentire di conoscere altre lingue, ma di
sicuro ci si può pentire di non conoscere abbastanza.
Quello che il bilinguismo NON è
Prof. François Grosjean
Ho avuto la fortuna di vivere e lavorare per lunghi periodi di tempo in almeno tre paesi,
Stati Uniti, Svizzera e Francia, e questo, da studioso del bilinguismo, mi ha permesso di
imparare molto sull'argomento. Ho scoperto che la gente in questi paesi condivide molti
fraintendimenti sul bilinguismo e i bilingui, ma anche che, a seconda del paese di
provenienza, gli atteggiamenti possono essere molto diversi.
Uno dei fraintendimenti condivisi è che il bilinguismo sia un fenomeno raro. In realtà, è
stato stimato che più della metà della popolazione mondiale sia bilingue, ovvero usi due o
più lingue nella vita quotidiana. Il bilinguismo si trova in tutte le parti del mondo, in tutti gli
strati della società, e in tutte le fasce di età. Un altro fraintendimento comune è che i
bilingui abbiano una conoscenza identica delle due lingue. In realtà, i bilingui conoscono le
lingue al livello di cui hanno bisogno e per molti di loro una è dominante.
Un altro mito è che i veri bilingui non abbiano un accento nelle due lingue che parlano e
che siano dei traduttori eccellenti. Questo è molto lontano dalla realtà. Avere o non avere
un accento non rende una persona più o meno bilingue, ed i bilingui spesso hanno
difficoltà a tradurre dei linguaggi specializzati.
C'è poi il fraintendimento che tutti i bilingui siano biculturali (non lo sono) e che abbiano
una doppia personalità (da bilingue, vi posso dire con sollievo che non è così).
Per quanto riguarda i bambini, sono molte le preoccupazioni e i fraintendimenti diffusi. Il
primo è che il bilinguismo possa ritardare l'apprendimento del linguaggio nei bambini
piccoli. Questo era un mito molto comune nella prima metà del secolo scorso, ma non
esiste una prova scientifica di questo effetto. Il loro ritmo di apprendimento del linguaggio
è lo stesso di quello della loro controparte monolingue.
C'è anche la paura che i bambini cresciuti bilingui mescoleranno sempre le due lingue. In
realtà, si adattano alla situazione in cui si trovano. Quando interagiscono in situazioni
monolingui (per esempio con la nonna che non parla l'altra lingua), allora risponderanno in
modo monolingue; se invece si trovano con altri bilingui, allora potranno mischiare i due
codici. Infine, c'è la preoccupazione che il bilinguismo possa interferire negativamente con
lo sviluppo cognitivo dei bambini bilingui. Le ricerche recenti sembrano dimostrare il
contrario: i bambini bilingui hanno un rendimento migliore dei bambini monolingui in certi
compiti cognitivi.
A parte questi fraintendimenti comuni, esistono degli atteggiamenti specifici di certi paesi e
certe zone del mondo. In Europa, per esempio, il bilinguismo viene considerato
favorevolmente, ma le persone hanno degli standard molto alti rispetto ai quali
considerano una persona bilingue. Per loro, un bilingue per essere tale deve avere una
conoscenza perfetta di entrambe le lingue, nessun accento, ed anche, in alcuni paesi,
essere cresciuti parlando due o più lingue. A questi livelli pochissime persone si
considerano bilingui, anche se, per esempio in Svizzera, la maggioranza degli abitanti
conoscono ed usano due o più lingue nella loro vita quotidiana.
Che dire degli Stati Uniti? Einar Haugen, un pioniere degli studi sul bilinguismo, ha
affermato che gli Stati Uniti forse sono stati la patria di più parlanti bilingui di ogni altro
paese al mondo. Qui il bilinguismo ha molte facce diverse, e unisce l'inglese con le lingue
dei nativi americani, le antiche lingue coloniali, quelle dell'immirazione recente, e così via.
Detto questo, non si tratta di un bilinguismo di grandi proporzioni. Attualmente, solo il 17%
della popolazione è bilingue, una proporzione piuttosto bassa rispetto a quella di molti altri
paesi del mondo. Questo non è dovuto al fatto che i nuovi immigrati non imparano
l'inglese. Il motivo, piuttosto, sta nel fatto che il bilinguismo in questo paese è breve e di
transizione. Per generazioni e generazioni di Americani, il bilinguismo ha coperto un breve
periodo di tempo, una o due generazioni, tra una situazione di monolinguismo in una
lingua minoritaria e il monolinguismo in inglese.
La tolleranza che l'America ha dimostrato in genere per le lingue minoritarie nei secoli ha
favorito l'integrazione linguistica dei suoi parlanti. Come scrive il sociologo Nathan Glazer,
le lingue delle minoranze “sono avvizzite all'aria della libertà, mentre erano fiorite sotto le
avversità in Europa”.
Quando il candidato alla presidenza Barak Obama affermò che i bambini dovrebbero
parlare più di una lingua, probabilmente si stava riferendo al paradosso di questo paese:
da una parte, le lingue del mondo portate negli Stati Uniti non vengono mantenute e
deperiscono, e dall'altra sono pochissime quelle che vengono insegnate nelle scuole, a
troppo pochi studenti, e per troppo poco tempo. Una risorsa nazionale - la conoscenza
delle lingue del mondo da parte del paese - viene messa da parte e non viene mantenuta.
È importante smettere di considerare il bilinguismo sinonimo di non sapere l'inglese ed
essere non-Americani. Il bilinguismo significa conoscere ed usare almeno due o più
lingue, una delle quali è l'inglese negli Stati Uniti. Il bilinguismo consente di comunicare
con persone diverse e di conseguenza scoprire culture diverse, offrendo al contempo una
nuova prospettiva sul mondo. Il bilinguismo aumenta le possibilità di ottenere un lavoro, e
rappresenta un vantaggio nel commercio. Consente inoltre di agire come intermediari fra
persone che non condividono le stesse lingue.
Il bilinguismo rappresenta un arricchimento personale e un passaporto verso altre culture.
Come minimo, per tornare al commento di Barak Obama, di sicuro consente di dire
qualcosa di più di "merci beaucoup". Non ci si può pentire di conoscere altre lingue, ma di
sicuro ci si può pentire di non conoscere abbastanza.
mercoledì 4 luglio 2012
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